La qualità è un’unità di misura, un termine di paragone.
La qualità dovrebbe essere il nostro modello, la meta alla quale aspirare.
La manifestazione umana che ci sublima.
Un’intenzione profonda.
La qualità di una relazione, di un luogo, di un paesaggio, di un cibo, di un vino, di un pezzo di carta, la qualità che non significa affatto lusso. La qualità che implica la partecipazione, il coinvolgimento, l’afflato.
Questo è qualità. Le cose fatte bene, il rispetto delle persone e quindi dell’ambiente, degli spazi, degli oggetti, il profumo di un cibo preparato con dedizione. La qualità delle persone che si rivela proprio quando si ha più bisogno.
La qualità dei pensieri. Se produco pensieri di buona qualità è perché non sono soffocata da abbrutimenti non sono prigioniera. (Ahimè l’etimo latino di cattivo rimanda a captivus, prigioniero).
Incappo troppo spesso in persone di scarsa qualità, lo si percepisce immediatamente e lo si comprende più da quello che nascondono invece che da quello che tentano di mostrare. Vivono di piccoli poteri, meschinerie, hanno ibridato la loro esistenza con protocolli e palliativi.
Denaro e potere li hanno ammaestrati e ridimensionati ad ombre
generate da luci al neon.
La qualità di vita invece a mio parere si percepisce quando il più possibilmente scevri da condizionamenti esterni ci sorprendiamo appagati nel fare qualche cosa, nel contemplare, nel pronunciare o nell’ascolto…
La qualità interiore è frutto di una costante costruzione (indispensabile sebbene sempre perennemente precaria e vacillante) del nostro pensiero delle nostre azioni
Interconnesse tra loro.
I luoghi comuni non sono qualità.
Le frequentazioni determinate da interessi non sono qualità.
La qualità credo sia la nostra indole, la cacciata del paradiso terreste, la dannazione l’inseguimento perenne
Ester Manitto